DAGO HERON

Capitolo 11 – Convergenze Carnali

Roberta fu la prima a svegliarsi. Era ancora piacevolmente avvinghiata al corpo di Dago e nello stesso tempo sentiva i muscoli dolenti di quel piacere che si prova post allenamento, scoprendo l’esistenza di muscoli che non pensava di avere.

Rimase con gli occhi chiusi, inebriata dagli odori dei loro corpi, lasciando andare la mente ai ricordi delle ore appena passato. Un caleidoscopio di immagini eccitanti venne proiettato nella sua mente.

Ritrovarsi oggetto delle fantasie e del piacere di Dago e Francesca le aveva aperto la mente ad una nuova consapevolezza di sé come le droghe psichedeliche degli anni 70 aiutavano gli artisti a creare opere uniche.

Persa nei ricordi e nelle fantasie, accarezzava il corpo di Dago lentamente, sfiorandolo, lo baciava con il massimo della delicatezza, per gustarselo in quel modo, senza che si svegliasse. Le corde, le torture, le sculacciate, gli orgasmi, negati e concessi, donati. Ma anche il pompino sotto il tavolo ed il successivo sesso furioso e passionale in bagno. Cosa era successo in quelle poche ore?

Poi sentì il profumo di caffè, quel profumo che solo una moka riesce e creare riempiendo una casa. Scivolò fuori dalle braccia dell’uomo facendo attenzione a non svegliarlo. Più impegnativo fu trovare qualcosa da mettersi addosso e ritrovare la strada per uscire dal dungeon. Poi trovare la strada della cucina fu abbastanza facile.

Al tavolo, seduta a fare colazione c’era Francesca che aveva avuto tutto il tempo di ricomporsi, di fare una doccia e si era vestita con abiti comodi, da casa, ma comunque con quella eleganza che la distingueva in ogni gesto.

“Buongiorno, riposato?” Accolse Roberta con un ampio sorriso facendo poi un largo gesto con un braccio “se hai fame, vista l’ora, ho fatto preparare un brunch … ” Su un bancone erano state disposte elegantemente una selezione di torte dolci, torte salate, affettati, focacce, formaggi, succhi di frutta e vino. 

Roberta non sapeva più dove guardare, non trovava parole per rispondere, ancora sotto gli effetti dei postumi di quella sbornia emotiva vissuta quella notte. 

“Vieni, siediti qui vicino a me” la voce di Francesca riusciva ad essere dolce e dominante allo stesso tempo. Nemmeno il tempo di raggiungerla e qualcuno le aveva fatto trovare una fumante tazza di caffè e un assortimento di piccoli assaggi di torte varie.

“Non ho ancora capito come sia potuto succedere tutto quello che è successo questa notte …” la voce di Roberta tradiva tutta la sua incredulità “… la semplicità di come tutto sia accaduto e soprattutto …” alzò lo sguardo cercando gli occhi di Francesca che aspettavano i suoi “ … di come mi sia concessa e di quanto mi sia piaciuto …”

Francesca rise, accarezzando il viso di Roberta prima di baciarla. “Sicuramente ieri tu eri già parecchio su di giri grazie al pompino sotto il tavolo e al sesso in bagno”. Prese un pezzo di torta e imboccò Roberta. “Poi sono arrivata io e si è instaurata subito tra di noi una forte complicità, combinata con un pizzico di competizione nei confronti di Dago” le ripulì una briciola dall’angolo delle labbra, portandolo alla sua bocca, trasformando un gesto banale in qualcosa di estremamente sensuale “Certe cose accadono perché è il momento giusto, è come se ieri sera ci fosse stato il perfetto allineamento dei pianeti del piacere. “

Roberta era come ipnotizzata da quella donna, dal suo modo di fare, parlare, muoversi. Si sentiva in suo totale potere. “Ora sta a noi decidere cosa farne. Se fare che sia stata una piacevole nottata da ricordare o se … “

La frase venne interrotta con un tempismo perfetto dall’arrivo di Dago. Nudo, solo con i boxer che avevano il potere di dare il giusto taglio al fisico normale ma curato dell’uomo, aveva quel modo di muoversi plastico che riusciva sempre ad attirare l’attenzione, qualunque cosa stesse facendo.

Si fermo a pochi passi dal tavolo dove le due donne erano sedute parlando con voce lenta e particolarmente profonda “Cosa state tramando voi due?” lasciando comparire il suo sorriso sornione mentre passava dietro Francesca, accarezzandola, per poi sedersi dietro a Roberta, abbracciandola e baciandola, spostando poi lo sguardo a cercare Francesca.

“Non mi permetterei mai di agire alle tue spalle.” il tono della donna, ancora una volta, alla presenza di Dago cambiò. “Roberta mi stava confessando la sua confusione in merito a come e cosa è successo questa notte.” Gli occhi di Francesca osservavano le mani di Dago accarezzare il corpo di Roberta, invidiando sia il tocco di quella mano, che il fatto di poter toccare quella pelle. “Le stavo giusto dicendo che ora sta a noi decidere cosa fare di quanto è successo questa notte.”

Dago rimase in silenzio, afferrò la tazza di caffè che era magicamente comparsa vicino a lui e sorseggio, usando quel gesto per prendere tempo. Si leccò le labbra e guardando dritto negli occhi Francesca, chiese mormorando vicino all’orecchia di Roberta “Tu, piccola mia, cosa vorresti farne di questa notte?”

Roberta si beava tra le braccia del suo uomo, avvolta da quel calore, coccolata dallo sguardo e dalle attenzioni di Francesca. “Non mi sono mai sentita così, e non avete idea delle cose che mi avete fatto vivere. Alcune sono state l’equivalente di aprire dei chakra, vivere e sentire qualcosa di nuovo, altre, invece, farmi ricongiungere con vecchi ricordi che nel tempo avevo dimenticato.”

Prese una pausa, per raccogliere i pensieri, ascoltare le proprie sensazioni, mentre gli altri due restavano in religioso silenzio ad ascoltarla senza perdere una parola o un tono della sua voce. In uno breve spazio di tempo si era trovata a decidere in merito a una relazione, come gestirla, definirla.

Si voltò a cercare gli occhi di Dago. “Ti ricordi quella sera casa mia quando abbiamo parlato della nostra relazione? Quando ci siamo promessi di non farci ingabbiare dalle etichette ma di vivere e di raccontarci le fantasie e i desideri che ci sarebbero passati per la testa?” L’uomo annuì, tranquillo, iniziando ad intuire la direzione che avrebbe preso il discorso. “Mi piacerebbe che Francesca facesse parte della nostra coppia …“ altra pausa “… una relazione a tre dove ognuno di noi è libero di vivere l’altro, apertamente.”

Dago sollevò un sopracciglio, cercando di capire meglio il pensiero di Roberta e anche Francesca corrugò la fronte per seguire meglio il discorso. “Desidererei qualcosa che non mettesse in crisi la nostra relazione, ma che la arricchisse. Vorrei avere la possibilità di frequentare Francesca anche senza di te.” Roberta si alzò girandosi in modo da poter osservare gli altri due attori della scena. “E vorrei che anche tu e Francesca possiate essere liberi di frequentarvi, senza essere obbligati alla mia presenza.” Disse tutto questo dando per scontata la frequentazione tra lei e Dago. “Vorrei anche continuare ad esplorare questo lato di me che ho scoperto questa notte, ma non solo quello.”

La prima a prendere la parola fu Francesca. “Accidenti, e io che ero titubante a proporvi di modificare l’attività lo studio per introdurre incontri a pagamento a tema BDSM … “

Dago continuava a spostare lo sguardo tra le due donne, cogliendo quella tensione particolare che continuava ad esserci tra loro due, cercando di capire nello stesso tempo che fine avrebbe fatto lui.

 La parte emozionale del suo cervello stava già stappando bottiglie di prosecco per festeggiare, mentre la parte razionale, consapevole, cercava di fargli comprendere che non sarebbe stato così facile. Era facilissimo sbilanciare un rapporto a tre, causando gelosia che facevano collassare su sé stesso quel tipo di rapporto. Eppure, esisteva un’altra parte del suo cervello che gli diceva che tra loro tre poteva funzionare.

Si girò verso Francesca, osservandola serio. “Spiegami un po’ cosa avresti in mente per il mio studio”. Aveva sottolineato il fatto che lo studio era suo, cercando di fare capire che per lui quella era anche la sua fonte di reddito.

“Ho un bel giro di persone che sarebbe interessato a vivere determinate situazioni, che vorrebbe almeno avere la possibilità di partecipare come spettatore. È un qualcosa che possiamo studiare con calma, un passo alla volta, organizzando prima degli eventi, dei munch selezionati, capire cosa la gente cerca.” Lasciò il tempo che Dago o Roberta dicessero qualcosa, sorseggiando un po’ di caffè. Poi visto che nessuno diceva nulla “Ma al momento mi interessa di più sapere cosa ne pensi dell’idea di Roberta, capire come la vedi tu.” Prese una mano di Roberta, tirandola a sé e facendola sedere sulla sua gamba, un gesto leggermente provocatorio.

Dago mangiucchiava pezzetti di torte, sorseggiava il caffè, giocava con le briciole, mentre le due donne lo osservavano in silenzio.

“È una proposta interessante e pericolosa. Sarà come maneggiare nitroglicerina, soprattutto all’inizio.” Osservava le due donne che in qualche modo si riconnettevano, coccolavano, davanti a lui senza nascondersi o vergognarsi “Dovremo trovare un modo di comunicare tra di noi in maniera aperta, trasparente.” Allungò una mano, tirando a sé Roberta sorridendo a Francesca, rispondendo alla sua provocazione in modo scherzoso.

“Tu non ti sei ancora espressa” chiese infilando le mani sotto la camicia di Roberta cercando i suoi seni. Francesca lo osservava sorridendo, avendo colto in quei gesti quella provocazione positiva che avrebbe potuto essere spesso condimento delle loro serate a tre. “Ho trovato molto piacevole il tempo che abbiamo passato assieme e anche a me piacerebbe esplorare di più tutte le cose che potrebbero succedere tra di noi. Posso mettere a disposizione la mia casa e …” si alzò avvicinandosi ai due, baciando prima Roberta, dolcemente, poi Dago, succhiandogli il labbro inferiore. “… la mia esperienza, il mio impegno a evitare di essere un problema tra voi due.”

Restarono li, vicini, a scambiarsi semplici effusioni, baci, carezze, con una perfetta sincronia, senza sovrapporsi ma integrandosi.

Fu Francesca a interrompere quell’idillio.  “Credo che sia giusto che ci prendiamo un po’ di tempo per pensarci sopra. Posso farvi accompagnare alla macchina dal mio autista e ci diamo appuntamento per cena tra due o tre giorni. Che ne dite?”

La parte pragmatica di Dago non poté fare altro che essere d’accordo. Roberta fece solo dei piccoli capricci, ma anche lei dovette convenire che era la cosa migliore. E poi aveva bisogno di riprendersi dato che il giorno dopo il lavoro la attendeva e sarebbe stata una giornata impegnativa.

Finirono di mangiare, chiacchierando e ridendo, scherzando e provocandosi, poi lentamente, quasi svogliatamente, si prepararono, salutarono. Francesca li salutò per l’ultima volta sulla porta, mentre l’autista imboccava il cancello.

Dago e Roberta restarono in silenzio, tenendosi per mano e coccolandosi, sia nella macchina di Francesca che mentre lui la accompagnava a casa. Arrivati sotto casa Roberta gli chiese di salire da lei. Entrati in casa, lo spinse contro la porta baciandolo con passione. Una passione diversa, una voglia calda, che ti avvolge come un liquido denso. Lo guidò in camera da letto dove si spogliarono senza interrompere quel bacio, e sempre senza arrestare quella dichiarazione di appartenenza scivolarono nel letto iniziando ad amarsi, fare sesso, scoparsi con una lentezza che, fino ad allora, era stata lontana dal loro essere. Si avvinghiavano, si accarezzavano come fossero centimani, continuavano a baciarsi ovunque le loro bocce potessero arrivare in quel momento. Continuavano a cambiare posizioni, ma rapidamente tornavano alle due posizioni che permetteva loro di avere maggiore contatto fisico: lui sopra di lei o lei sopra di lui. Un rapporto tantrico che fungeva da sigillo della loro sintonia, della loro coppia.

Nessuno dei due aveva controllato per quanto avessero fatto l’amore, ma entrambi, senza dirlo all’altro, erano convinti fossero andati avanti per un’eternità a giocare con il reciproco piacere. L’orgasmo fu intenso, simultaneo, di quelli che il cervello memorizza tra i ricordi più belli. E rimanendo avvinghiati, scivolarono nel sonno.

Quando Dago si svegliò oramai era quasi sera. Scivolò fuori dal letto senza svegliare Roberta, recuperò i vestiti e si diresse verso casa. Aveva bisogno di un bagno caldo, di riposo e di raccogliere i pensieri.

Entrato in casa aveva accesso Spotify, selezionato una compilation di soft jazz, Poi era andato in bagno e aveva aperto l’acqua per riempire la vasca. Si era spogliato e nudo era andato in cucina, scelto una buona bottiglia di vino rosso, l’aveva aperta, riempito un ballon, sorseggiato per valutare che non sapesse di tappo e poi aveva porato il tutto in bagno ed era entrato nella vasca.

Rilassandosi e sorseggiando vino, la sua mente aveva lasciato scorrere il rullino dei ricordi. Dalla famosa sera della cena, la partenza di Roberta, il suo cambio di vita, il primo incontro con Francesca, le varie clienti che chiedevano servizi extra, il naturale avvicinamento al BDSM. Poi il rientro di Roberta, la passione riaccesa, fino ad arrivare alla sera appena passata, il ristorante, la casa di Francesca.

Con il secondo bicchiere di vino le riflessioni si spostarono sulla proposta delle due donne. Quella di Roberta di allargare la loro relazione includendo Francesca. Quella di Francesca, di allargare l’attività al BDSM, rendendolo una parte più importante della propria vita e della propria attività. Era quello che voleva? Che desiderava?

Mentre il suo cervello cercava di ascoltare tutti i pro e i contro che si agitavano dentro di lui, scivolò fuori dalla vasca, si asciugò grossolanamente, avvolse l’asciugamano attorno alla vita e con il bicchiere e la bottiglia si diresse in cucina. Il bagno lo aveva rilassato e la fame si era fatta strada tra le esigenze. Aveva appoggiato bottiglia e bicchiere sul bancone della penisola, acceso solo i faretti della cucina, aperto il frigorifero. La mente non riusciva a restare focalizzata sul contenuto dell’elettrodomestica, decidere cosa tirare fuori da mangiare. Una collana di salamini. Del formaggio spalmabile. Senape, maionese, ketchup. Olive.  Piano piano il piano del bancone era stato riempito di ogni tipo di cibo spazzatura che lui possedesse.

— O —

Francesca li aveva guardati andare via, era salita in camera sua e aveva ripercorso mentalmente le ultime ore. La cena al ristorante, osservando Dago e Roberta. Il mix di invidia ed eccitazione provata, per la complicità, per come lui guardava lei, era tanto tempo che nessuno la guardava così. Vedere lei sparire sotto il tavolo e quello sguardo tra di loro che aveva fatto scattare qualcosa di inaspettato.

Francesca aveva reagito di pancia. Si era alzata ed era andata al tavolo a presentarsi. Non sapeva cosa si sarebbe dovuta aspettare. Tra lei e Roberta quella tensione appena accennata a sguardi era cresciuta esponenzialmente con l’aiuto del vino. L’ultima provocazione, portarli nel suo parco giochi segreto, l’inaspettata reazione di Roberta e tutto il resto.

Mentre la mente tornava a quei momenti, una mano era scivolata tra le sue cosce. Le dita avevano schiuso il sesso e iniziato a giocare unicamente con la clitoride. Voleva ricreare quel piacere, restare in quel piacere, perdersi in quel piacere, senza arrivare a consumarlo. Voleva nutrirsi di quel piacere per rigenerarsi.

Era stata in quel limbo di piacere e ricordi per un tempo che faticava a quantificare. Poi una decisione si materializzò chiara nella mente. Si alzò dal letto, spogliandosi completamente mentre spalancava il guardaroba per cercare qualcosa di particolare che aveva in mente. Si era truccata con cura. Si era vestita, indossando sopra a tutto uno spolverino che la copriva completamente, poi era scesa, aveva preso le chiavi dell’utilitaria e aveva puntato in direzione della casa di Dago.

— O —

Il suono del campanello lo sorprese durante la sua cena improvvisata. Si pulì frettolosamente le mani e senza chiedere o controllare dallo spioncino chi fosse aprì la porta trovandosi di fronte Francesca.

Rimase a fissarla per qualche secondo, poi Francesca si mosse con quella decisione che era tra le sue caratteristiche. “Pensavo che fosse il caso di abbozzare meglio l’idea per lo studio.” Mentre camminava lungo il corridoio che portava alla cucina a vista slacciò lo spolverino estivo lasciandolo cadere a terra, mostrandogli quello che aveva scelto di indossare: harness.

Delle semplici strisce di cuoio adornavano il suo corpo, sottolineando alcune parti, sostenendo discretamente altre, lasciando comunque accesso ad ogni punto che un uomo, che un dominante desiderasse avere accesso.

“Ed era qualcosa di così urgente che non poteva aspettare domani?” chiese tornando al bancone, sbocconcellando altro cibo. Francesca gli si avvicinò. “Beh, c’erano anche altre cose di cui magari avevo un po’ più di urgenza … “. Scivolò ancora un po’ più vicino a lui, infilando un dito nel barattolo della maionese, sporcando un capezzolo per poi succhiare maliziosamente il dito. Poi prese il bicchiere di Dago bevendo un sorso di vino rosso.

Era risaputo che Dago non era mai stato indifferente al fascino di Francesca. Aveva avuto donne di ogni genere, anche molto più giovani e sfrontate di lei, ma lei aveva qualcosa di diverso, la capacità di provocare e soddisfare i suoi desideri più nascosti, cosa che rendeva sempre interessanti i loro incontri.

Quando l’asciugamano casualmente si slacciò, lasciando in bella mostra il suo cazzo abbondantemente barzotto, dimostrazione di quanto apprezzasse la sua visita, Francesca ne fu molto felice. Infilò due dita nel barattolo della maionese per poi spargerla sulla sua asta e iniziare a massaggiarglielo. Lo voleva più grosso e duro. Aveva bisogno che lui la scopasse con tutta la forza che poteva avere ancora in corpo. Senza aggiungere una parola si inginocchiò iniziando ad alternare il massaggio di mano con quello delle sue labbra, della sua lingua, della sua bocca, aspettando che lui le ordinasse cosa fare.

L’aveva lasciata fare per un po’. La combinazione di come lei lo guardava mentre si dava da fare in ginocchio e dell’abilità della sua mano e della sua bocca erano difficilmente resistibili.

Poi, quell’area del suo cervello dove si creavano le scene più perverse si era attivata. Aveva fatto spazio sul piano e in poche decise mosse l’aveva fatta sdraiare di forza supina sul bancone.

“Non mi fare andare a prendere le corde, stai ferma e basta! “ il tono della sua voce, per una persona introdotta in quel mondo come Francesca, era più forte di un cavo d’acciaio che la immobilizzasse. Osservò il corpo adagiato si quel piano, le gambe aperte, in offerta, il respiro che tradiva quella tensione di piacere.

Prese il barattolo della maionese, infilò due dita guardandola, immergendole nel barattolo come se le stesse infilando della sua figa. Affondava, ruotava, raccoglieva salsa per poi spargerla sui seni, sulla sua pancia, tra le sue cosce. Poi fu la volta del ketchup, nel suo barattolo top down. Lo agitò come se si stesse facendo una sega, per poi stapparlo ed iniziare a spruzzare la salsa rossa sul suo corpo. Seguirono senape, salsa barbecue e altro.

Francesca aveva provato molte cose in vita sua ma, stranamente, era la prima volta che qualcuno la trattasse come cibo, cospargesse di salse. Sorrise, sussurrandosi che aveva avuto un ottimo intuito quando aveva scelto Dago fra i tanti possibili amanti

Le mani, forti e decise, avevano iniziato a massaggiare e spalmare le salse, usandole come un lubrificante, ungendola come un pezzo di carne pronto per essere buttato su una griglia rovente, la griglia dei suoi desideri. Avevano iniziato sprimacciando i seni, poi le cosce, senza trascurare la figa e l’ano. Poi di nuovo su, i fianchi, ancora i seni, il collo, il viso. Le dita che affondavano nella sua bocca riempiendola di quei sapori e umori.

Francesca era arrivata senza particolari aspettative, certamente non con l’idea di essere trasformata in una porchetta da ungere e farcire. Forse più l’idea di sedurlo, di farsi una bella sana scopata classica e ora si trovava travolta da quella forza, da quella mente perversa che l’aveva sopraffatta e le stava facendo vivere qualcosa di nuovo.

Aggiungendo ogni tanto un po’ di maionese, di ketchup, di olio, continuava il suo massaggio, la sua perlustrazione. Le dita, le mani, avevano ricominciato il gioco della sera precedente, infilandosi e allargandole alternativamente prima nella figa e poi nel culo, per poi ricominciare a giocare con il suo corpo, colpire seni, chiappe, girarla e rigirarla, di nuovo, aggiungere dita, salse e altro, usare la sinistra per il culo, la destra per la figa, alternandole come stantuffi.

Mentre Dago, piano piano, aumentava l’intensità di questo gioco, la mente di Francesca scivolava in un universo parallelo, lasciando che quella umiliazione di essere usata e maltrattata in quel modo diventasse un piacere. Un piacere che nasceva dalla consapevolezza che lui non avrebbe potuto creare quell’opera d’arte senza che lei gli facesse da tela. E mentre quel pensiero prendeva corpo e consapevolezza nella sua mente, entrambe le mani la invadevano, sfondavano provocandole un intenso piacere pur riuscendo a contenere con le ultime forze l’orgasmo.

Lui rimase con le mani infilate in lei. Francesca sollevò la testa cercando il suo sguardo, il suo permesso, invece trovò i suoi occhi, che sembravano occhi di un posseduto, fiammeggianti, famelici. Poi senti le dita, le mani, ricominciare a muoversi e dovette concentrare tutte le sue forze a controllare, trattenere quell’orgasmo che non voleva altro che esplodere.

Le mani ricominciarono a muoversi alternativamente, dentro e fuori fino a quando figa e culo non restarono aperti quanto lui aveva desiderato. Solo allora l’aveva posizionata supina, la testa che sporgeva, in modo da poter scopare la sua bocca a suo piacimento. In pochi istanti era passata dal desiderare di godere al desiderare di sentirlo godere, nella sua bocca.

Dopo quell’intenso week end non era così semplice arrivare all’orgasmo, ma la situazione che avevano creato era stata intensa come poche volte. Le aveva afferrato la testa come se la stesse afferrando per i fianchi e scopato la bocca come se la stesse fottendo alla pecorina, perso in un mondo di sesso. Alla fine, era arrivato al culmine e si era sfilato giusto in tempo dalla sua bocca per sborrare sulle sue tette e sul suo seno.

Francesca lo guardava persa, confusa. Sapeva quanto gli piacesse venire in bocca alle sue amanti ma questa volta lo aveva evitato premeditatamente. La sentenza era arrivata dalla sua voce. “Ora vestiti e vai a casa.” Quelle parole erano l’equivalente di un secchio di cubetti di ghiaccio vuotato addosso, freddi e dolorosi. “D’ora in poi, prima di venire da me devi avvisarmi e chiedermi il permesso, altrimenti ne subirai le conseguenze, che non è detto che siano piacevoli come questa sera.”

Francesca si sentiva spiazzata, e non era una cosa di tutti i giorni. Non aveva mai immaginato che lui potesse nascondere un lato così duro. “La strada la conosci, io vado a farmi la doccia!”

L’aveva lasciata lì da sola. Con mani tremanti aveva raccolto lo spolverino, lo aveva indossato e si era avviata verso la porta, su gambe malferme, sentendo un liquido appiccicoso uscire dai suoi orifizi. Dentro di lei umiliazione, piacere, vergogna, privazione, rabbia, provocazione e molto altro ribollivano con un minestrone dal sapore peccaminoso. Era uscita, chiuso la porta, salita in auto e guidato fino a casa come in uno stato di trance.

Dago era entrato in bagno restando in silenzio fino a quando non aveva sentito il ticchettio dei tacchi di Francesca che si allontanavano. Poi aveva aperto l’acqua, alzato la temperatura e aveva lasciato che il getto d’acqua dal collo scivolasse lungo la schiena. Con gli occhi chiusi la mente era tornata a poco prima. Il solo immaginare la situazione gli aveva procurato una nuova erezione. Quello che era successo gli donava un miscuglio di emozioni che non escludevano la sorpresa di essere riuscito a fare certe cose.

Accarezzato dal getto caldo dell’acqua, continuando a rivedere in un loop la scena delle sue mani che abusavano di Francesca, la sua mano destra, furiosamente, cercava di dare sfogo a quell’eccitazione, mentre prendeva consapevolezza di come le ultime quarantotto ore lo avevano cambiato.

— O —

Man mano che guidava verso casa, Francesca era riuscita a uscire quasi completamente da quello stato di trance, addirittura le era comparso un sorriso di compiacimento. Girando verso il cancello della villa le luci della macchina avevano incrociato una figura che le era parsa familiare: Roberta.

Le aveva fatto cenno di entrare, aveva posteggiato l’auto e l’aveva aspettata. “Cosa ci fai qui?” Le aveva chiesto con un tono curioso che non celava il piacere di averla li. “Non riuscivo a dormire e mi è venuta voglia di venire da te per … parlare”.

Francesca rimase in silenzio, si girò andando verso la porta con la certezza che l’altra donna l’avrebbe seguita. “Tu dove sei stata?” la domanda la colpì alle spalle come una palla di neve. Infilò la chiave nella serratura, aprì la porta e si girò aprendo lo spolverino e mostrando la sua condizione.

“Non riuscivo a dormire e sono andata da Dago ma” lanciò lo spolverino sul pavimento restando nuda con i tacchi e gli harness“ sono stata punita per non avere chiesto il permesso” si girò fece due passi dentro casa e si girò di nuovo verso Roberta “quindi io ni rivarrò su di te!” Era rimasta a fissarla per gustarsi la sua reazione. “Ti aspetto in bagno … ho bisogno di fare una doccia e di qualcuno che mi pulisca per bene.”

Roberta rimase sorpresa, immobilizzata, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle. L’immagine del corpo di Francesca così oscenamente profanato. il racconto, che aveva mosso alcune parti di lei gelose che lei fosse andata a casa sua. E poi la sua voce, i suoi ordini.

Sentì la gelosia le si attorcigliò nelle viscere. Era gelosa di lui? Di lei? Del fatto che lei fosse andata senza dirglielo? Di lui che aveva abusato del corpo di Francesca? Di non aver potuto guardare quelle mani familiari esplorare territori che ora voleva reclamare. O forse invidiava di non avere subito quella umiliazione che suonava come una forma perversa di intimità? Una parte del suo cervello ringhiava possesso mentre un’altra sussurrava tradimento, ma tradimento di cosa, esattamente? La confusione la eccitava quanto la feriva, una vertigine emotiva che le annebbiava la logica e affilava l’istinto.

L’aveva guardata, ammirata salire le scale con quel suo modo di camminare che la faceva sembrare una mannequin professionista. Erano bastati pochi istanti perché la facesse ricadere in quello stato particolare. E in fin dei conti lei era andata li proprio per quello.

Roberta rimase ferma ai piedi delle scale. Improvvisamente si rese conto cosa avrebbe significato salire quei gradini. Non era ingenua, non poteva fingere di essere trascinata dagli eventi come una foglia nel vento. Era una scelta.  Non stava seguendo Francesca per cortesia o curiosità. Stava camminando verso la propria verità, quella parte di lei che voleva essere usata, posseduta, ridotta a puro strumento di piacere altrui. Nuda nella penombra del corridoio, si sentì finalmente onesta con se stessa. Salì le scale non come vittima ma come complice, non trascinata ma guidata dal proprio appetito più segreto.

Aveva slacciato il vestito, lo aveva lasciato cadere a terra mostrando alla stanza vuota che sotto il vestito non portava nulla e poi aveva salito le scale per raggiungerla in bagno.

Il bagno era una stanza elegante come il resto della casa. Un’eleganza non esagerata ma una eleganza di gusto. Le pareti erano ricoperte di un materiale che riproduceva un effetto marmo, ma di un colore blu particolare, lo avrebbe definito cobalto, che si sposava perfettamente con il parquet color rovere.

In fondo, una grande doccia, un vetro perfettamente trasparente la divideva dal resto della stanza e l’acqua scorreva riempiendo la stanza di vapore e di quel suono simile a pioggia che di solito sapeva donare calma e che ora contrastava con l’immagine di Francesca. L’attendeva in piedi, il corpo ancora ricoperto di quel variegato mix di salse. Gli occhi, di un azzurro verde, la fissavano, penetravano. “Vieni qui!”

Roberta si era avvicinata a passi lenti, lo sguardo che man mano si abbassava. Francesca le fece scivolare la mano dietro la nuca, afferrandola per il collo, baciandola prima, poi facendola inginocchiare. “Pulisci …” aveva sibilato “Lui ha trattato me come un oggetto con cui giocare, senza darmi soddisfazione, a te toccherà rimettere in pari le cose.

Aveva alzato gli occhi e aveva iniziato a leccare, lentamente, come un cagnolino. Incurante del sapore. Prima una gamba, poi l’altra, la pancia salendo verso i seni. Francesca l’aveva lasciata fare per un po’, poi aveva iniziato ad indietreggiare, portandosela dietro come la sua cagnolina, le aveva consegnato la spugna e le aveva ordinato di lavarla. Tutta quella cosa appiccicaticcia iniziava a darle noia. Si era goduta quella coccola, la dolcezza combinata a docilità con cui Roberta si prendeva cura di lei, di pulirla perfettamente.

Alla fine, si era appoggiata alla parete, l’aveva fatta inginocchiare di nuovo, aveva aperto le gambe e le aveva premuto il viso contro la figa. “Fammi godere … “. Ne sentiva il bisogno come un disperso nel deserto sente il bisogno dell’acqua. “Fammi avere quegli orgasmo che quello stronzo di Dago non mi ha fatto avere.” Ne aveva così bisogno che Roberta doveva solo lasciare fuori la lingua e lei ci si stava strofinando contro con vigore, con un’urgenza che non provava da molto tempo.

Non c’era voluto molto a soddisfare il bisogno più urgente, ma le aveva ordinato di non smettere. La seconda volta le aveva lasciato la libertà di fare, di leccare come una gattina, giocare con la sua clitoride, infilarle le dita. L’aveva ricompensata regalandole l’orgasmo aspro e intenso in bocca.

Quando il corpo fu pulito e saziato un poco la voglia di godere, Francesca spinse Roberta contro la parete. Il sapone liquido, versato copioso tra le sue dita, diventò l’arma della vendetta. Due dita scivolarono dentro il suo ano con brutale precisione, il sapone che bruciava e lubrificava insieme.

“Vuoi sapere cosa mi ha fatto quel fetente del tuo uomo?” la voce di Francesca era lontana anni luce da quella della donna raffinata che si era avvicinata al tavolo. L’eccitazione del ricordo di quello che lui le aveva fatto, combinato in una formula altamente pericolosa con quello che lei sapeva stava per fare su Roberta le aveva innalzato la pressione degli ormoni quasi fosse una pentola a pressione pronta ad esplodere.

Tre dita ora, poi quattro. Il sapone rendeva tutto scivoloso, perverso. Roberta sentiva l’ano dilatarsi, accogliere quell’invasione con una fame che la terrorizzava. Era il contrappasso perfetto: Dago aveva violato Francesca con le salse, ora lei violava Roberta con il sapone, quel fluido domestico trasformato in strumento di dominazione.

“Quel bastardo mi ha sfondato figa e culo con le mani!” mentre raccontava, riviveva la scena, sentiva gli sfinteri contrarsi dal desiderio di sentire quelle forti mani sfondarla di nuovo, facendola godere questa volta. Solo un gutturale gemito della donna aggrappata alle piastrelle fece in modo che lei si rendesse conto che la mano aveva invaso quel bel culetto a cuore, donandole un piacere così intenso che le gambe di Roberta erano scosse da tremori.

“Ti piace essere la mia puttanella, vero?” Le parole si mescolavano al rumore dell’acqua. “Ti piace pagare per quello che lui fa a me?”

Senza aspettare risposta, l’altra mano aveva iniziato lo stesso gioco davanti, cercando di farsi spazio nella figa. “Pensa che quel pezzo di merda, mi ha mandato a casa sporca come una prostituta dei bassifondi, ma soprattutto, senza farmi godere.”

Nonostante l’eccitazione e un desiderio di una vendetta che era piena di piacere, riuscì a restare lucida quel tanto da capire che Roberta non era ancora pronta ad accettare un doppio fisting, che avrebbe fatto solo dei danni. Allora in qualche modo riuscì a recuperare Il doccino, trasformandolo in uno strumento di tortura e di piacere. Il getto pulsante che colpiva la clitoride di Roberta con la precisione di un cecchino, mentre l’altra mano replicava gli stessi movimenti che la mano di Dago aveva fatto nel suo sfintere.

“Dimmi che sei mia,” ordinò Francesca, aumentando la pressione del getto. “Dimmi che appartieni a me quando lui non c’è.”

L’acqua martellava quel punto sensibile trasformandolo in un epicentro di piacere e dolore. Roberta gemeva aggrappata alle piastrelle, il corpo scosso da spasmi che non riusciva a controllare. Era divisa tra l’acqua che la torturava davanti e la mano che la possedevano dietro, sospesa in un limbo di sensazioni che cancellava ogni pensiero razionale, con un’unica certezza: sapeva che non poteva permettersi di godere senza il permesso di Francesca, gliela avrebbe fatta pagare.

Come un prigioniero sotto tortura, Roberta esplose “Tua, so tua, voglio essere tua, di Dago e tua … “ la sua voce era un miscuglio tra supplica, pianto e gioia.

Aumentando la forza del getto, puntandolo direttamente sul punto più sensibile, mentre la mano dall’altra parte sembrava quasi voler stimolare in modo diverso il suo utero, Francesca ringhiò “Fammi vedere come gode la mia puttanella …”

Roberta esplose, immediatamente, ripetutamente. Una serie di orgasmi che la svuotarono e lasciarono senza forza, crollando sul pavimento tra le braccia di Francesca, tremante, ansimante, con gli occhi chiusi.

Ruoli, emozioni, sensazioni e altro si mischiavano ad ondante. Le due donne si ritrovarono l’una nelle braccia dell’altra, senza avere più certezza di chi fosse chi o cosa. Da una situazione intensa, da ruoli definiti, a qualcosa di fluido, dolce, coccoloso, dove i ruoli cambiavano senza una barriera, senza un limite definito e chiaro.

Erano uscite dalla stanza da bagno mano nella mano, come due fidanzate, come due amiche. Nude, come mamma, come la natura le aveva fatte e unite. Poi una voce dietro di loro le aveva folgorate.

— O —

Dopo la doccia la sua eccitazione, invece di placarsi, sembrava essere aumentata, forse alimentata da un minimo di senso di colpa, un tormento interiore, come se quello appena successo fosse un tradimento verso Roberta. L’eccitazione si era trasformata in un veleno che gli scorreva nelle vene, mescolata a quel senso di colpa che solo i tradimenti involontari sanno generare. Si era vestito ed era corso a casa sua, ma lei non c’era. Senza avere il minimo dubbio risalì in macchina e si diresse verso casa di Francesca.

Premette il pulsante del citofono, il suono elettronico che squarciò il silenzio della notte come una lama sottile. Risposa la voce di un uomo, il maggiordomo. Il meccanismo scattò subito dopo che aveva pronunciato il proprio nome.

La porta d’ingresso era socchiusa, un invito silenzioso che parlava di aspettative non dichiarate. Varcò la soglia e fu subito avvolto da un’atmosfera che era diventata improvvisamente familiare. L’aria della casa respirava di intimità recente, una densità particolare che la pelle percepisce prima della mente. Qualcosa di femminile moltiplicato per due, un profumo che gli fece accelerare il battito.

I suoi passi sul marmo scandivano il tempo dell’avvicinamento mentre saliva verso i suoni che filtravano dall’alto. Acqua che scorreva, voci che si mescolavano in tonalità che la sua mente interpretò istintivamente.

Si fermò sulla soglia del bagno. La scena che si materializzò davanti ai suoi occhi aveva la qualità allucinatoria di un sogno lucido: due corpi femminili avvolti dal vapore, i gemiti, e le parole di Francesca che dichiaravano la rivalsa su Roberta di quello che lui aveva fatto a lei.

Rimase sospeso in quello spazio che separa il testimone dal complice, assaporando l’ironia del momento: essere simultaneamente escluso e incluso, tradito e vendicato, cacciatore e preda in una situazione che ridefiniva tutti i ruoli.

Rimase immobile e silenzioso, gustandosi la scena fino alla fine, lasciando che le due donne si godessero ogni istante senza disturbarle o interromperle. Quando finalmente scelse di rivelarsi, lo fece con la voce di chi ha già compreso le regole del gioco che stava per iniziare.

“Sembra che non siamo capaci di controllare l’attrazione che abbiamo l’uno per l’altro.” La voce di Dago le colpì come un fulmine in una notte serena, frantumando l’universo privato che avevano costruito nel vapore della doccia.

In due modi diversi le due donne si sentirono due bambine colte in flagrante dal genitore. Il senso di colpa della bambina che contrastata con il senso di eccitazione della donna adulta.

Ognuno di loro concesse alla propria mente di riavvolgere, ancora una volta, il film delle ultime quarantotto ore. Dall’ingresso nel ristorante, tutti i fotogrammi che portavano all’arrivo di Francesca al loro tavolo e al viaggio fino a casa sua, i gradini che portavano al dungeon e tutto quello che aveva portato a trasformare non solo Roberta ma la loro relazione e il loro essere.

Roberta sentì il sangue colorarle il viso, un’emorragia emotiva che la riportò istantaneamente a quando aveva sette anni e sua madre l’aveva sorpresa a giocare ai dottori con il figlio dei vicini. Quella stessa vergogna bruciante, quel desiderio infantile di sparire, di negare l’evidenza.

Ma il corpo tradiva una verità più complessa. I capezzoli si erano induriti al suono della sua voce, una reazione che annullava ogni pretesa di pentimento. La figa pulsava ancora dell’eco degli orgasmi appena vissuti, memorie carnali che si rifiutavano di essere cancellate dalla vergogna sociale. Era simultaneamente la bambina cattiva che meritava punizione e la donna che aveva finalmente smesso di mentire a sé stessa.

Francesca invece incarnava una sicurezza che sfiorava l’insolenza. Eppure, sotto quella corazza di sfrontatezza, Dago riconobbe il lampo di vulnerabilità che attraversava i suoi occhi azzurri. La paura non di essere scoperta, ma di essere giudicata. Non per quello che aveva fatto, ma per quello che aveva rivelato di sé stessa nel farlo.

I loro sguardi si incrociarono nel silenzio denso che seguì quelle parole, un triangolo perfetto di comprensioni non dette. Negli occhi di Roberta, Dago lesse una trasformazione che andava oltre il semplice piacere fisico. Era la nascita di una nuova identità, forgiata nel crogiolo della trasgressione consapevole. Lei non era più la donna che aveva incontrato al ristorante, quella che fingeva di essere trascinata dagli eventi. Era diventata artefici del proprio desiderio.

Lo sguardo di Francesca conteneva una sfida velata di gratitudine. Aveva preso ciò che lui aveva negato e lo aveva moltiplicato, trasformato, restituito con gli interessi. C’era trionfo nei suoi occhi, ma anche una richiesta di riconoscimento. Come un’artista che presenta la sua opera e attende il verdetto del critico più importante.

E lui? Negli specchi delle loro pupille vedeva riflesso un uomo che aveva scatenato forze che ora doveva imparare a cavalcare. La gelosia che doveva provare si era trasformata in qualcosa di più complesso: orgoglio proprietario mescolato a eccitazione voyeuristica. Era stato presente senza essere presente, complice attraverso la sua stessa assenza.

Ognuno di loro sentì il peso di quel momento sospeso, dove le parole successive avrebbero ridefinito per sempre i confini del loro essere insieme. Era un punto di non ritorno, e ognuno, a modo suo, ne era consapevole.

Il silenzio che seguì quelle rivelazioni reciproche aveva la densità dell’ambra, preservando quel momento come un insetto prezioso intrappolato nel tempo. Dago si mosse verso di loro con la lentezza di chi sa che ogni gesto ridefinirà l’architettura della propria esistenza.

“Non è una relazione quello che stiamo costruendo. È una nuova forma di famiglia. Qualcosa a cui nessuno di noi aveva mai pensato prima.”

Le braccia le avvolsero entrambe. Erano contemporaneamente un gesto di possesso e di accoglienza, un cerchio che si chiudeva su se stesso per creare un nuovo centro di gravità. Roberta sentì qualcosa dentro di sé sistemarsi definitivamente, come un mobile che trova finalmente la sua posizione perfetta nella stanza.

“Questo posto diventa casa nostra,” continuò Dago, lo sguardo che abbracciava gli spazi eleganti della villa come se li vedesse già trasformati dalla loro presenza. “Non ospiti, non visite. Casa.”

Francesca sorrise con quella particolare luminosità che nasce quando una fantasia segreta diventa progetto concreto. “Ho molti, troppi anni di solitudine da recuperare,” disse semplicemente.

“E io ho una vita intera da vivere finalmente senza maschere,” aggiunse Roberta, la voce ferma come non l’aveva mai sentita prima.

Si mossero insieme, non come amanti diretti verso una conclusione erotica, ma come persone che vanno a prendere possesso del territorio dove costruiranno il loro futuro. Ogni passo era una pietra posata nelle fondamenta di qualcosa che non esisteva ancora nel vocabolario.

Roberta si fermò un istante, voltandosi a guardare l’ingresso della villa. Mesi prima era una donna che fingeva di conoscere sé stessa. Ora era qualcuno che aveva smesso di tradurre i propri desideri in lingue accettabili. La trasformazione era completa, irreversibile, perfetta.

“Non tornerò mai più indietro,” sussurrò, più a sé stessa che agli altri.

“Nessuno di noi tornerà indietro,” rispose Francesca, mentre la loro triade saliva verso il futuro che li aspettava.

Nella villa scese il silenzio di chi ha finalmente trovato casa.