
La coscienza di Ashley fluttuava in uno spazio senza confini, un limbo dove le emozioni si mescolavano come colori in un acquerello ancora umido. Fu il tocco di Dago a richiamarla gradualmente alla realtà – carezze che tracciavano mappe di tenerezza attraverso i suoi capelli, sul viso, lungo il collo, sulla schiena. Ogni sfioramento era come un filo che la riportava nel presente, tessendo nuovamente il tessuto della sua consapevolezza. Socchiuse gli occhi, permettendo al mondo di ricomporsi attorno a lei come una fotografia che lentamente prende fuoco nella camera oscura. Quando finalmente incontrò il suo sguardo, vi trovò quella miscela unica di autorità e premura che aveva imparato a riconoscere. Istintivamente, strofinò il viso contro il suo palmo come una creatura che cerca conferma del proprio posto nel mondo.
‘Riposato?’ La sua voce era morbida, avvolgente come velluto scuro. Ashley rispose con un cenno del capo, la mente ancora troppo immersa in quella dimensione intermedia tra sonno e veglia per formulare parole.
La luce del crepuscolo filtrava attraverso le finestre, avvolgendo la stanza in una penombra che sembrava respirare. Le mani di Dago la guidavano con precisione studiata, ogni gesto carico di intenzione. La fece inginocchiare tra le sue gambe, la schiena rivolta verso di lui, e iniziò il lento rituale di liberazione. Le corde cedevano una ad una sotto le sue dita esperte, scivolando via dalla sua pelle come sussurri. Dove prima c’era costrizione, ora restavano impronte – un alfabeto di segni impressi sulla sua carne che raccontavano una storia di sottomissione e liberazione. Ashley si ritrovò a tracciare quei solchi con dita tremanti, sorpresa dalla propria reverenza per questi marchi temporanei. Ogni segno sulla sua pelle era una mappa del suo viaggio, un promemoria tangibile della sua metamorfosi.
Con un’ultima carezza che era simultaneamente possesso e congedo, Dago la aiutò ad alzarsi. I suoi movimenti, mentre le sfilava delicatamente prima il plug e poi l’ovetto, erano precisi come quelli di un chirurgo, ma carichi di un’intimità che faceva tremare qualcosa di profondo dentro di lei.
“Ora puoi andare a fare la doccia,” la sua voce era morbida ma non ammetteva discussioni. “Ti voglio stupenda per questa sera.”
Un impulso organico la spingeva a cercare più contatto – voleva arrampicarsi sulle sue gambe, avvolgere le braccia attorno al suo collo, reclamare le sue labbra. Ma quella parte di lei che stava imparando a trovare libertà nell’obbedienza prevalse.
“Farò del mio meglio per compiacerla,” mormorò, la voce che vibrava di promesse non dette.
Sotto il getto bollente della doccia, Ashley cercava di immaginare che cosa avesse preparato per lei questa sera. Era una sensazione quasi elettrica, un’anticipazione che le scivolava sulla pelle insieme all’acqua calda – la certezza che Dago avesse orchestrato qualcosa di speciale, nascosto dietro quello sguardo enigmatico che aveva imparato a riconoscere ma mai a decifrare completamente.
Si dedicò al rituale della preparazione con una minuziosità quasi religiosa. I capelli ricevettero attenzioni particolari – uno shampoo delicato seguito da un impacco nutriente che li rese lucidi come seta nera. Il vapore che riempiva il bagno sembrava danzare intorno a lei mentre si prendeva cura del proprio corpo con una consapevolezza nuova, quasi reverenziale. Prima la doccia accurata che lavava via gli ultimi residui della sua vecchia pelle, poi fuori, sulla pelle ancora umida, l’unguento che aveva portato con sé – un balsamo che trasformava la sua pelle in un invito al tocco. I capelli, una volta asciutti, formarono onde naturali che lei accentuò con pazienza meticolosa, creando una cornice fluida al suo viso. Il trucco divenne una forma d’arte – elegante, sofisticato, pensato per sottolineare senza mai eccedere. Le sue labbra e i suoi occhi ricevettero attenzioni particolari, trasformati in promesse silenziose piuttosto che dichiarazioni volgari.
Era una metamorfosi che andava oltre il semplice abbellimento – ogni gesto di cura era un passo verso quella creatura che stava diventando, un essere che esisteva in perfetto equilibrio tra raffinatezza ed abbandono, tra controllo e sottomissione.
Emergendo dal bagno come una ninfa dalle acque, Ashley attraversò il corridoio con la consapevolezza acuta della propria nudità – non più un’esposizione, ma uno stato naturale dell’essere. Lo trovò nel salone principale, una presenza magnetica sul suo scranno di sempre. Il gessato blu con sottili righe crema gli cadeva addosso con un’eleganza studiata, la camicia bianca aperta al collo un contrasto perfetto con la formalità del completo. Le scarpe nere catturavano la luce soffusa come specchi d’ossidiana. Il calice di prosecco nella sua mano completava il quadro di raffinata autorità.
“Sul letto trovi tutto quello che ti serve.” La sua voce era morbida ma definitiva, ogni sillaba un comando velato.
Gli oggetti disposti sul letto raccontavano una storia di promesse e aspettative. Un plug nero hi-tech con una luce rossa pulsante che sembrava rispondere a un ritmo segreto. Accanto, un oggetto rosa a forma di V che prometteva piaceri sofisticati. Infine, come atti finali di questa trasformazione orchestrata, un abito nero lungo che sussurrava eleganza e le sue décolleté rosse che gridavano seduzione.
Il plug catturò la sua attenzione immediata – quel battito rosso come un cuore artificiale tra le sue dita. Si mosse verso di lui con grazia felina, l’oggetto offerto come un dono rituale. “Vuole mettermelo lei?” La domanda era un sussurro, una preghiera, una confessione.
Dago prese il plug dalle sue mani. Ashley si girò con grazia studiata, piegandosi in avanti in un’offerta che era diventata naturale come respirare. Le sue mani scivolarono dietro a separare i glutei, esponendo quell’apertura che ormai aveva imparato ad arrendersi al suo volere, sempre pronta per le sue fantasie.
Lo sentì posizionare il plug contro la sua carne sensibile, la pressione un promemoria di tutte le trasformazioni che aveva attraversato. L’inserimento fu lento, deliberato – ogni millimetro una lezione di pazienza e controllo. Il suo corpo rispose con un tremito di riconoscimento, mordendosi il labbro inferiore mentre assaporava quella penetrazione graduale che parlava di possesso e abbandono.
Con la coda dell’occhio colse il movimento delle sue dita sul telefono, un gesto che aveva imparato a riconoscere come preludio di piacere. Il plug prese vita dentro di lei, vibrando con un’intensità che le strappò un gemito involontario. La sua eccitazione si manifestò in gocce lucenti che scivolavano lungo l’interno delle cosce – una confessione liquida del suo abbandono totale al suo controllo.
Tornò al letto, ogni passo scandito dal ritmo pulsante dentro di lei. Appena prese l’oggetto rosa a forma di V tra le mani, lo sentì vibrare – un segnale dal telefono di Dago che la fece tremare d’anticipazione.
“Siediti sul bordo del letto e infilatelo tu, poi vieni qui.” La sua voce tagliò l’aria mentre continuava a orchestrare le vibrazioni del plug, trasformando il suo corpo in uno strumento di piacere.
Si sedette, alzando un piede sul materasso, esponendosi completamente al suo sguardo. La sua figa, già schiusa e lucida di desiderio, accolse facilmente il nuovo strumento – un’estremità che cercava il punto G, l’altra che si adagiava sulla clitoride. Una tripla vibrazione improvvisa le strappò un gemito gutturale. “Cazzo… questo è…” le parole si persero nel piacere.
Si avvicinò a lui con passi incerti, le braccia alzate dietro la testa, le gambe aperte in offerta. Le sue mani esperte aggiustarono il giocattolo fino alla perfetta aderenza. Le vibrazioni successive, unite al plug pulsante, quasi la fecero crollare sulle ginocchia tremanti.
Alla fine Ashley aveva indossato prima le scarpe rosse, poi fatto scivolare il vestito lungo il suo corpo come una carezza di seta nera. Si era avvicinata a lui, girandosi in un movimento che era simultaneamente richiesta e offerta per la chiusura della zip. Una volta sigillato, il vestito si trasformò in una seconda pelle, il tessuto elastico che abbracciava e modellava ogni sua curva con precisione devota. La scollatura profonda sosteneva e presentava i suoi seni come doni preziosi, mentre lei si studiava nello stesso specchio che l’aveva vista metamorfosi dopo metamorfosi. Un sorriso le incurvò le labbra, riconoscendo in quel riflesso echi della donna sofisticata che era entrata in quella casa, ora trasfigurata da tutto ciò che aveva vissuto.
Dago si era avvicinato alle sue spalle, il suo riflesso nello specchio una presenza magnetica dietro di lei. Tra le sue mani brillava una collana composta da quattro fili di perle sintetiche rosse di dimensioni decrescenti che si adagiavano sul suo décolleté come onde di un mare vermiglio. Con gesti misurati, gliela allacciò al collo, le sue dita che sfioravano appena la pelle sensibile della nuca. Le perle, di un rosso profondo e sensuale, sembravano fatte apposta per completare il suo outfit, creando un dialogo silenzioso con le scarpe vertiginose.
Da una scatola di velluto nero estrasse un paio di orecchini minimalisti ma d’effetto – una singola perla rossa su ciascun lobo, perfettamente sferica e generosa nelle dimensioni, che pendeva con eleganza accarezzandole il collo ad ogni movimento della testa.
L’effetto complessivo era provocante ma raffinato – la semplicità degli orecchini bilanciava perfettamente la ricchezza della collana multifilare, creando un insieme che parlava di eleganza contemporanea. Soddisfatta e felice, si era girata verso di lui, imprimendo un bacio morbido sulle sue labbra che lo colse di sorpresa pur senza farlo arretrare. Poi, come una danzatrice che conosce perfettamente la sua coreografia, si diresse verso il letto dove si avvolse in una nuvola del suo profumo.
Quando Ashley tornò lui la aspettava sulla porta aperta, offrendole il braccio. Nel momento in cui si accostò, lo avvolse in una nuvola del suo profumo.
Anche questo locale non era molto lontano dalla villetta e anche questo era praticamente disperso in mezzo al nulla. Il breve tragitto si trasformò in un esercizio di autocontrollo mentre Dago giocava con i controlli, facendo vibrare alternativamente i due giocattoli dentro di lei, strappandole sospiri che la facevano arrossire. Parcheggiarono davanti a questa cascina trasformata in ristorante dove il posteggio era già pieno di altre auto tutte lussuose.
L’interno del locale era stato ristrutturato con molta attenzione, riuscendo a mantenere un equilibrio tra i mattoni a vista, che facevano cascina, e i lampadari e i decori sui muri, moderni ed artistici. Inoltre era stata posta una decisa attenzione all’intimità con luci molto soffuse e una musica soft che non disturbava e allo stesso tempo copriva le chiacchiere degli altri avventori. Notò che il locale era già praticamente pieno. La cosa particolare che le saltò subito all’occhio era che erano tutti tavolini a cui c’erano seduti o una coppia o in pochi casi un uomo solo. Un cameriere si materializzò dal nulla salutando Dago come se lo conoscesse molto bene e lì guidò a loro tavolino. Un’altra particolarità la colpì: il loro tavolo sembrava quasi al centro della sala, circondato da tutti gli altri.
Una volta seduti Ashley si concentrò sulla serata con lui. Dago aveva scelto il cibo per entrambi, ordinando una importante bottiglia di vino che versò nei calici con gesti misurati. Alzò il suo in un brindisi: “Brindiamo ad un weekend da…” una pausa studiata, “…schiava” sussurrò, facendo tintinnare delicatamente il cristallo contro quello di Ashley, che rispose con un sorriso carico di promesse nascoste.
Mentre assaggiava il primo sorso di vino, i due giocattoli dentro di lei presero vita simultaneamente, facendola quasi strozzare con il liquido. A differenza delle volte precedenti, Dago non manteneva una stimolazione costante – sceglieva con precisione chirurgica i momenti, l’intensità, la durata di ogni vibrazione, trasformando la cena in un esercizio di controllo e abbandono.
Le portate si susseguivano con eleganza studiata. Un delicato antipasto di crudités di pesce, ravioli ai gamberi dalla presentazione artistica, polipo in tre cotture che si scioglieva sulla lingua. Ma era la presenza di Dago a dominare la serata – il modo in cui alternava conversazione brillante e controllo silenzioso dei suoi piaceri, la sua capacità di essere simultaneamente compagno affascinante e maestro delle sue sensazioni.
Di tanto in tanto, Ashley percepiva sguardi che si posavano sul loro tavolo. Forse era la chimica evidente tra loro, quell’attrazione palpabile che elettrizzava l’aria. O forse erano i suoi piccoli sussulti, i respiri trattenuti quando le vibrazioni la coglievano di sorpresa, a catturare l’attenzione degli altri commensali.
Era arrivato il momento della scelta del dessert, e Dago, dopo aver ordinato due sorbetti al mandarino con vodka, le diede un comando che le fermò il respiro: doveva infilarsi sotto al tavolo. Ashley aveva notato fin dall’inizio le lunghe tovaglie che sfioravano il pavimento, e l’idea di scivolare sotto per giocare con il suo sesso l’aveva sfiorata come una fantasia proibita. Ma c’era un abisso tra l’immaginazione e la realtà di un ristorante affollato, dove ogni movimento poteva tradirla.
Colse la sua esitazione. “Non ti ho chiesto se vuoi farlo, ti ho detto di infilarti sotto il tavolo a succhiarmi il cazzo.” La voce di Dago era bassa ma definitiva, ogni sillaba un chiodo nella sua volontà.
Ipnotizzata da quegli occhi che non concedevano vie di fuga, Ashley scivolò sotto il tavolo con una grazia felina che trasformava l’obbedienza in arte. Si posizionò a carponi tra le sue gambe, le dita che trovarono la zip con familiarità acquisita. Come aveva previsto, il suo sesso era già semi-eretto e libero da costrizioni. Poche carezze esperte lo resero completamente duro, e poi, ricordando la lezione della mattina, iniziò a prenderlo in bocca con una lentezza studiata. Dalla punta alla base, rallentando deliberatamente, tenendolo in bocca come un segreto prezioso. Lo sentiva crescere e pulsare contro la sua lingua, mentre una parte della sua mente restava vigile, attenta a possibili nuovi comandi. Nel silenzio ovattato del suo rifugio di seta, accarezzava l’idea che lui le permettesse di farlo venire ancora una volta con la sua bocca – un dessert ben più desiderabile di qualsiasi sorbetto al mandarino.
Il locale le sembrava avvolto in un silenzio irreale, ma attribuì questa sensazione all’effetto smorzante della tovaglia sui suoni esterni. Fu l’ordine di Dago a riportarla alla superficie – non la liberazione che sperava, ma un comando di emergere. Mentre si sollevava da sotto il tavolo, cercando di mantenere un’apparenza di discrezione, la realtà la colpì come un’onda gelida: ogni occhio nel locale era puntato su di lei.
Qualcosa era cambiato durante la sua permanenza nell’oscurità vellutata sotto il tavolo. La disposizione dei commensali sembrava alterata, come se un regista invisibile avesse riorganizzato la scena mentre lei era nascosta. Tutti i tavoli, ora, sembravano orientati verso il loro, come spettatori in un teatro improvvisato. E poi…
E poi le luci soffuse del locale si spensero, lasciando solo un occhio di bue che li illuminava con una luce seppiata, come in una vecchia fotografia virata al calore. Mentre cercava di processare questa trasformazione surreale, sentì la presenza di Dago dietro di lei. Le sue mani forti allargarono la scollatura con un gesto deciso, liberando i suoi seni. Nel momento in cui tentò di voltarsi, di cercare una spiegazione nel suo sguardo, lui la spinse con decisione sul tavolo, il vestito che si sollevava rivelando il suo segreto. “Dago…” il suo nome scivolò dalle sue labbra come una domanda incompiuta, un sussurro sospeso tra paura ed eccitazione.
Sentì sfilarle con poco garbo i giocattoli e subito dopo lui la penetrò con una spinta che le tolse il respiro. “Cosa sta succedendo…” il pensiero si dissolse quando la sua mano le afferrò i capelli, facendole inarcare la schiena, sollevandole la testa…
Li vedeva ora, seduti davanti a lei come una platea silenziosa – sorrisi complici, sussurri scambiati, gomiti che si toccavano mentre Dago la possedeva con una rudezza che parlava di esibizione controllata. Un nuovo stato di dissociazione la pervase: da una parte la donna rispettabile, dall’altra la creatura di puro piacere in cui si stava trasformando. O forse, realizzò con un brivido di comprensione, la cagna che era sempre stata.
La zip del vestito scivolò verso il basso come un sipario che si apre, lui che si ritraeva per un istante, il tessuto che scivolava via dal suo corpo come una pelle superflua. La fece alzare, mostrandola alla sala nella sua nudità gloriosa, ora vestita solo dei gioielli rossi che brillavano come gocce di sangue sulla sua pelle. Poteva sentire i mormorii d’apprezzamento, vedere le mani che si muovevano sotto i tavoli, cercare intimità nascoste o… liberare erezioni solitarie.
La fece sdraiare prona sul tavolo ormai sgombro, le sollevò le gambe afferrandola per le cosce e la penetrò di nuovo, con una forza che parlava di desiderio troppo a lungo contenuto. In quella posizione poteva guardarlo, studiare la sua espressione, leggere le sue intenzioni. Il modo in cui si muoveva, il ritmo che stava costruendo, le raccontavano una storia che il suo corpo riconosceva istintivamente. Sapeva cosa cercasse, cosa volesse offrire alla platea silenziosa che li circondava. L’idea che i suoi orgasmi fossero il regalo che lui aveva preparato per questo pubblico selezionato la fece bruciare di un’eccitazione che non credeva possibile.
Quando lo sentì accelerare il ritmo, socchiuse gli occhi – non voleva perdere completamente il contatto visivo con lui – e gli concesse, ancora una volta, di oltrepassare quella barriera di piacere che la portava a squirtare. Un gemito le sfuggì dalle labbra, un segnale che lui colse immediatamente. Dopo un altro paio di spinte potenti si sfilò, permettendo al suo orgasmo di manifestarsi in un arco perfetto che strappò mormorii di apprezzamento dalla sala. Il suo corpo tremava, attraversato da convulsioni di piacere mentre gemiti incontrollati riempivano il locale.
Dago la riprese con ferocia rinnovata, una serie di spinte violente e profonde che la portarono a un secondo zampillo ancora più spettacolare del primo. Non le diede tregua – le sue mani esperte la condussero attraverso il terzo e il quarto orgasmo, trasformando il suo corpo in una fontana di puro piacere, ogni esplosione un’offerta all’audience rapita che li circondava.
Usando il guinzaglio come telecomando, la guidò giù dal tavolo per un giro nel locale, esibendola come una schiava nei mercati dell’antica Roma. Il tintinnio delle catene e il tac dei tacchi si fondevano con i bisbigli di sottofondo in una sinfonia di anticipazione.
La ricondusse al tavolo, ma questa volta fu lui a sdraiarsi. “Sali,” sussurrò, un comando che conteneva universi di possibilità. Le sue intenzioni erano cristalline. Con l’aiuto della sedia si issò sul tavolo, posizionandosi a gambe larghe sopra di lui. Iniziò una discesa calcolata, consapevole degli sguardi che la divoravano. In quel momento una realizzazione la colpì come un fulmine: deteneva un potere assoluto su quella platea rapita.
Trasformò la sua discesa in uno spettacolo studiato – allargando le gambe con deliberata lentezza, esibendo la sua figa che gocciolava oscenamente, stringendo i seni pesanti tra le mani, lambendosi le labbra con la lingua in un invito silenzioso. Quando sentì la cappella di Dago premere contro di lei, un sorriso le incurvò le labbra – lo sentiva già penetrare il suo culo, quell’apertura che ora esisteva solo per il suo piacere. Si lasciò cadere di colpo, ingoiandolo completamente. Un gemito collettivo si levò dalla sala come una preghiera oscena.
Iniziò a muoversi con grazia plastica, su e giù, ogni movimento una nuova interpretazione del piacere – ora profondo e lento, ora superficiale e rapido. Il suo sguardo danzava tra gli spettatori, catturando gli occhi famelici degli uomini e quelli delle donne, dove leggeva un miscuglio inebriante di ammirazione e invidia.
Con la sapienza di una pornostar, con la mano raggiunse la figa. La allargava. Giocava con la clitoride. Affondava dita dentro. Poi iniziò a sentire il cazzo di Dago cambiare, e le fu chiaro che lui era al limite. Appoggiò entrambe le mani dietro di sé, offrendosi, contemporaneamente, meglio al suo cazzo e agli occhi del pubblico astante. “Scopami… Sborrami in culo…” la voce era una bassa vibrazione carica di desiderio, era una supplica irresistibile.
Dago non se lo fece ripetere, iniziò a spingere con foga sotto di lei. Anche lui era particolarmente eccitato dalla situazione e si lasciò trasportare con piacere. La afferrò per i fianchi, in modo che le sue spinte potessero essere ulteriormente decise e profonde. Con un grugnito animale iniziò a schizzare con gioia nel suo culo. Al primo schizzo, Ashley espresse il proprio piacere con una mitragliata di schizzi. Il tono e il livello dei mormorii erano aumentati, ma ad Ashley interessava solo il piacere che si erano scambiati loro due, gli altri erano stati solo un ingrediente del piacere.
Sentì le mani di Dago sollevarle i fianchi per sfilarsi da lei. L’ordine arrivò attraverso la catena del collare che la guidava giù dal tavolo. Obbedì, nonostante i muscoli ancora di gelatina. La fece inginocchiare sul pavimento, rivolta verso gli altri.
Dopo pochi istanti vide una coppia ed un uomo avvicinarsi. Un fremito di paura poi sentì la catena tirarsi, ricordarle la sua presenza, la sua protezione, si sentì più tranquilla. L’uomo tirò fuori il cazzo ed iniziò a segarsi con decisione. La donna della coppia, si incaricò di fare lei quel servizio al marito. Meno di un minuto dopo, a poca distanza uno dall’altro, i due uomini schizzarono addosso ad Ashley. Fu leggermente sorpresa, anche se, in fin dei conti, cosa ti aspetti quando due uomini si stanno masturbando davanti a te?
Appena questi finirono altri presero coraggio, avvicinandosi e ripetendo lo stesso rituale. Ogni getto di sperma che le colpiva la pelle era come un nuovo marchio della sua nuova condizione. Sentiva lo sperma iniziare a colarle sul viso, sui seni, sulla pancia, e ogni nuova ondata la faceva sprofondare più profondamente in quello spazio mentale dove vergogna e eccitazione si fondevano in qualcosa di trascendente.
Uno dopo l’altro tutti gli uomini, inclusi i camerieri, da soli o accompagnati dalla compagna, completarono la cerimonia. Alcune donne guidavano i loro uomini con sguardi complici, altre osservavano con fascinazione e desiderio, ma Ashley sentiva crescere dentro di sé un senso di trionfo perverso – era lei il centro di quella tempesta di desiderio, lei che catalizzava quella frenesia erotica collettiva.
Se nell’antico Giappone questo era stato un modo per confermare la trasformazione da fanciulla in donna della sposa, per Ashley questo era il rito con cui si celebrava la sua metamorfosi da brava mogliettina in… nemmeno lei sapeva ancora come definirsi. Ma mentre lo sperma di una trentina di uomini le colava sulla pelle, sentiva che ogni goccia la marchiava più profondamente nel suo nuovo ruolo – non una vittima, ma una regina del piacere che aveva scelto consapevolmente di abbracciare i suoi desideri più oscuri.
L’ultimo uomo le donò il suo sperma e, come avevano fatto tutti gli altri, se n’era andato. Ora erano rimasti solo loro due. Mentre lei rimaneva li in ginocchia con lo sperma che le colava addosso, Dago si era alzato, si era ricomposto e aveva preso il suo vestito. “Ti aiuto a rivestirti e torniamo a casa.” Il pensiero di ripulirsi aveva sfiorato la sua mente, ma le parole di lui le fecero capire che non era il caso. L’aveva aiutata ad infilarsi il vestito e le aveva chiuso la zip. Dago aveva salutato i camerieri, l’aveva presa sottobraccio ed erano tornati alla macchina.
Mentre lui faceva manovra per uscire dal posteggio aveva abbassato il parasole e aperto lo specchio che si era illuminato. Il perfetto trucco di quando erano usciti di casa ora era colato trasformandosi in una maschera di lussuria sfrenata. Le piacque quello che vide nello specchio.
Si rilassò contro il sedile, chiuse gli occhi, la serata le passò davanti come un rapido film, una serie di flash che le mostravano cose che non avrebbe mai immaginato di immaginare fino a poche ore prima. Allargò lo spacco della gonna, puntò i tacchi rossi sul lussuoso cruscotto, Mentre una mano abbassava la scollatura per fare sbalzare fuori i seni, l’altra catturava la mano di Dago portandola tra le sue cosce. Aveva bisogno di sentirlo, di sentirsi sua, continuamente. Lui la accontentò accarezzandola coccolandola, stuzzicandola.
Arrivati a casa velocemente, Ashley si sentiva sfinita, svuotata da tutti gli orgasmi. Dago la portò vicino al letto. Le sfilò le scarpe, le sfilò il vestito, poi le tolse i gioielli. Poi ricominciò la vestizione notturna, iniziando con il collare, poi le infilò il cerchietto con le orecchie e infine la fece mettere a quattro zampe. Era così stanca che non riusciva nemmeno a chiedersi cosa avesse in mente. Il plug coda, non dovette nemmeno spingerlo, gli bastò appoggiarlo perché lei lo risucchiasse dentro.
Con un senso diverso, nuovo, lo sentì posizionarsi dietro di lei, alzarle la coda e… delicatamente, entrare nella sua figa. Cazzo quanto le piaceva quando la penetrava con quel plug che la rendeva così stretta e sensibile. Mentre era dentro, fermo, lo sentì afferrare la catena, tirarla e poi iniziare a muoversi. La stanchezza sembrava essere passata in secondo piano. Allargò le gambe e spinse indietro il culo, afferendosi, lo voleva, lo voleva tutto. Lo sentiva accelerare, affondare e accelerare e lei iniziò a spingersi verso di lui. “Non ci posso credere” non era un pensiero, era un urlo nella sua testa che la avvisava che stava per venire di nuovo.
Non riuscì a distinguere esattamente cosa fosse successo. Il massimo della ricostruzione che riuscì a fare di quell’orgasmo fu che lei venne pochi istanti prima che lui le schizzasse nella figa. Lo schizzo caldo, dal piacere, le provocò subito un altro orgasmo. Due orgasmi così ravvicinati da sembrare uno solo. Così potenti da farle venire veramente le convulsioni per quasi un minuto. Dago la lasciò scivolare in posizione fetale nella cuccia. Le diede un bacio sulla fronte e la coprì con un leggero pile, poi scivolò nel letto.
Prima di scivolare a sua volta nel sonno le chiese “Quanti oggi?”
“Ho perso il conto…” bofonchiò in maniera poco chiara prima di collassare in un sonno profondo.
“Sedici, io ne ho contati sedici…” rispose lui, lasciandosi scivolare in un sonno felice.
Ashley fece in tempo a sentirlo e mentre Morfeo cercava di rapirla, soddisfatta, sorrise sentendo che anche la sua figa pulsava di piacere.
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