Alla fine si era addormentata sporca – l’erba del giardino, gli umori dei loro corpi, il sudore sulla pelle. Lei, che non aveva mai permesso a un uomo di vederla senza la sua routine serale di bellezza, ora giaceva nel suo giaciglio improvvisato, abbandonata alla sua nuova natura di cagna in calore. Era una trasformazione che permeava ogni fibra del suo essere.
Il risveglio fu dolce, orchestrato dalle mani esperte di Dago. “Buongiorno, piccola,” sussurrò, la voce calda mentre le sue mani verificavano con attenzione ogni muscolo, ogni punto di tensione. “Come ti senti? Hai dormito bene?” La domanda conteneva una cura autentica che mostrava un altro aspetto del suo dominio – la capacità di prendersi cura di lei completamente, di vegliare non solo sul suo piacere ma sul suo benessere.
Con delicatezza si era preso cura di togliere uno, dopo l’altro, i simboli della sua trasformazione canina – il collare che l’aveva marchiata come sua proprietà, le orecchie che completavano la sua metamorfosi – lasciando per ultimo il plug con la coda. Il vuoto che seguì non era solo fisico – era lo spazio lasciato da quella parte primordiale di sé che aveva scoperto di possedere, pronta a riemergere al suo richiamo.

Accanto alla cuccia, Dago aveva disposto una colazione abbondante – cornetti, marmellate, frutta fresca, yogurt. “Mangia tutto,” disse con quella sua voce che trasformava anche gli ordini più semplici in carezze, “oggi avrai bisogno di energie.”
La osservò mangiare per qualche istante, poi si avviò verso la porta. “Hai un’ora per la doccia. La porta resta aperta, e uscirai nuda.” Si fermò sulla soglia, già perfettamente vestito e curato. “Ti lascio tranquilla.” Il suono dei suoi passi che si allontanavano era un permesso silenzioso per il suo primo momento di solitudine.
Ashley aveva riposato profondamente, il sonno della metamorfosi compiuta. I suoi muscoli portavano la memoria degli sforzi della notte, ma era il suo sfintere a raccontare la storia più intima – una nuova geografia del piacere, più espansa, più consapevole. Sotto il getto della doccia, lasciò che l’acqua calda sciogliesse non solo la tensione fisica ma anche le ultime resistenze della sua mente, permettendole di rivisitare ogni momento: lo spogliarsi sotto il suo sguardo trasformativo, la sua bocca usata come santuario di piacere, la metamorfosi in creatura devota ai suoi piedi. Il ricordo del giardino – quella degradazione pubblica trasformata in rituale erotico – fece contrarre la sua vagina in un riconoscimento silenzioso. Era stata la sua evidente eccitazione in quel momento a scatenare in lui quella brutalità possessiva? Il suo sfintere pulsò in risposta, come un eco di quel piacere primordiale.
“Quarantacinque minuti…” La voce di Dago tagliò il vapore come un cronometro implacabile. Ashley emerse dall’acqua avvolgendosi nell’asciugamano, il tessuto morbido una momentanea barriera tra le sue nuove verità e il mondo.
Era quasi pronta quando lo vide sulla porta, il suo sguardo una promessa di nuove profondità da esplorare.
“Siediti lì,” ordinò, indicando la tazza chiusa mentre si dirigeva verso la specchiera. Il suo ritorno portò con sé strumenti che trasformarono il bagno in un teatro di sensazioni – la schiuma da barba e un rasoio a mano libera che catturava la luce come una promessa affilata. Con gesti misurati che non ammettevano resistenza, le fece aprire le gambe e iniziò a spalmare la schiuma sulla striscetta di peli che lei aveva così meticolosamente curato. Il rasoio si aprì con un click che risuonò nel silenzio carico di aspettativa.
Non era nuova alla rasatura, ma sentire le mani di un altro sulla sua intimità più delicata era un’esperienza che mescolava vulnerabilità e abbandono. Il rasoio nella sua mano era una minaccia e una carezza insieme, ogni passaggio un esercizio di fiducia assoluta. Le sue mani si muovevano con precisione chirurgica, ma quando le dita sfioravano i bordi sensibili delle labbra o si avvicinavano alla clitoride, il suo corpo reagiva con tremiti involontari di piacere che rendevano quei momenti ancora più pericolosamente eccitanti. Ad ogni passata del rasoio, si sentiva più esposta, più nuda, più sua.
“Sì, mi sembra che adesso vada bene,” mormorò, esaminando la sua opera con attenzione professionale. Le sue dita continuarono l’esplorazione, verificando la perfezione del lavoro svolto, ogni tocco sulla pelle ipersensibile un piccolo shock elettrico di piacere. Quando le aprì le labbra, trovò la sua eccitazione evidente e copiosa – una confessione liquida che non poteva nascondere. Come se fosse la naturale conclusione di quel rituale intimo, le sue dita iniziarono a giocare con la sua clitoride, trasformando quella vulnerabilità in piacere puro. I muscoli delle sue cosce si contrassero in risposta, il suo corpo una mappa di nervi esposti alle sue attenzioni esperte.
Tenendo le labbra spalancate, Dago introdusse due dita nella sua figa già bagnata, esplorandola con movimenti precisi e misurati, cercando e trovando ogni punto di piacere con la pazienza metodica di un cartografo che mappa territori inesplorati.
“Voglio vedere quanto grosso riesci a prenderlo,” sussurrò, la voce densa di promesse. La mente di Ashley evocò immagini di dildo e vibratori, ma lui aveva altri piani.
Le due dita divennero tre, poi quattro, in una progressione inesorabile che le toglieva il respiro. Il pollice restava fuori, torturando la clitoride in un massaggio ipnotico. Quando i loro sguardi si incontrarono, il suo era quello di un predatore paziente – alzò la testa e la fissò mentre iniziava a spingere l’intera mano dentro di lei.
Ipnotizzata da quegli occhi che non le concedevano via di fuga, Ashley spalancò le cosce, il suo corpo che si arrendeva a questa nuova invasione. La mano avanzava con una lentezza studiata, ruotando leggermente, conquistando spazio millimetro dopo millimetro. Non c’erano pause, non c’era pietà – solo una progressione costante verso una pienezza mai provata prima.
Il punto più largo della mano portò fitte di dolore che si trasformarono in un piacere vertiginoso, strappandole un urlo di pura liberazione: “Riempimi… voglio sentirti tutto…” Il suo corpo si apriva, si ridefiniva attorno a questa nuova presenza, scoprendo un desiderio di pienezza che non aveva mai osato confessare nemmeno a sé stessa. Era come se ogni cellula del suo essere implorasse di essere posseduta, riempita, trasformata.
Le dita dentro di lei iniziarono a muoversi, esplorando territori di piacere che non sapeva di possedere. Le sue dita raggiungevano punti mai toccati da nessun altro, giocando con la cervice, sondando la possibilità di sditalinarle l’utero. Fu come se una corrente elettrica le attraversasse il corpo – dalle estremità intorpidite fino al centro del suo essere, per poi esplodere nella sua testa in una cascata di sensazioni.
I suoi ansiti si trasformarono in grida mentre si torturava i seni e i capezzoli, cercando di ancorare il suo corpo a qualcosa di tangibile mentre il piacere minacciava di disintegrarla. “Non smettere,” supplicò, il suo corpo che si spingeva contro quella mano invasiva come se volesse inghiottire anche il braccio.
Dago aumentò il ritmo e l’intensità, spingendola oltre i suoi limiti. Il corpo di Ashley tremava così violentemente che dovette cercare appoggio. “Vengo… vengo… VENGO!” – l’ultimo grido era quasi un singhiozzo, il suono di qualcuno che scopre un piacere così intenso da sfiorare il dolore.
Le convulsioni di piacere si trasformarono in un’esplosione incontenibile – il suo corpo una fontana di estasi liquida. Dago estrasse la mano con un movimento rapido e preciso, determinato a godersi lo spettacolo del suo piacere. Le sue dita trovarono la clitoride, massaggiandola con una rudezza calcolata che prolungava le ondate del suo orgasmo. Il suo corpo rispondeva come uno strumento perfettamente accordato, il piacere che zampillava copioso mentre lei si contorceva sotto le sue attenzioni implacabili. Era la dimostrazione più pura del suo potere su di lei – la capacità di trasformare il suo corpo in una fonte inesauribile di piacere.
Si mosse come un direttore d’orchestra che conosce ogni nota della sua sinfonia – prima indietreggiando per contemplare la sua opera, poi tornando a lei con una presenza che occupava tutto il suo spazio vitale. Una mano le sostenne la nuca con fermezza possessiva, l’altra reclamò nuovamente la sua intimità, anulare e medio che scivolavano dentro come se conoscessero una mappa segreta del suo piacere. I suoi movimenti erano precisi, calcolati – ogni scossa, ogni vibrazione studiata per stimolare quell’area nascosta dietro l’osso pubico, prima dolcemente, poi prepotentemente. Il secondo orgasmo la travolse come un’onda anomala, il suo corpo che si inarcava contro quella mano che orchestrava la sua estasi.
Non le diede tempo di riprendere fiato. I loro visi erano così vicini che condividevano lo stesso respiro, le loro labbra a millimetri di distanza in una promessa non mantenuta di bacio. La sua mano riprese possesso del suo sesso con una sicurezza che parlava di dominio assoluto, e il terzo orgasmo esplose dentro di lei come fuochi d’artificio in una notte d’estate, il suo piacere che zampillava copioso, marcando il territorio della sua resa.
Si impose di indietreggiare, trasformandosi in spettatore della sua opera d’arte vivente. Ashley giaceva davanti a lui come una tela di Picasso nel suo periodo più erotico – forme scomposte in un caos perfettamente orchestrato. Il suo corpo continuava a tremare per le scosse di piacere, la sua intimità pulsava con un ritmo visibile, le grandi labbra che si aprivano e chiudevano come un fiore notturno. I suoi capelli, una corona di serpenti che avrebbe fatto invidia a Medusa, incorniciavano un viso trasfigurato dall’estasi. I suoi seni prosperosi ondeggiavano ancora, come se il terremoto del suo piacere non avesse ancora finito di propagare le sue onde sismiche attraverso la sua carne.
Ma dentro di lui bruciava una tensione quasi insostenibile, uno sguardo che tradiva un desiderio selvaggio appena contenuto. Il suo corpo implorava di affondare in quella figa fino a consumarsi, fino a sfiancarsi. La reazione di Ashley, la sua completa resa al piacere, aveva superato ogni sua aspettativa, ogni sua fantasia. La notte era stata un tormento di pensieri e controlli – vegliando sul suo sonno, ripercorrendo ogni momento, assicurandosi del suo benessere. Ma ora sapeva che un solo contatto, un solo momento di debolezza, e tutti i suoi piani meticolosi per la giornata sarebbero andati in fumo.
“Vado a cambiarmi, ti aspetto nel salone,” riuscì a pronunciare, la voce resa roca dal desiderio trattenuto. “Non impiegarci troppo…” L’ultimo comando un tentativo di mantenere il controllo non solo su di lei, ma soprattutto su sé stesso.
Ashley rimase immobile sulla tazza, cercando di capire cosa diavolo le fosse appena successo. Tre orgasmi, uno dopo l’altro, come se il suo corpo fosse diventato una macchina del piacere. Mai nessuno l’aveva fatta venire così – nemmeno lei stessa dopo anni di masturbazione esperta. Le sue dita conoscevano ogni centimetro della sua figa, eppure lui l’aveva fatta schizzare come una fontana, come se il suo corpo fosse stato creato solo per godere sotto le sue mani. “Cazzo,” pensò, “mi ha fatto venire come una troia in calore.” Si diede una rapida sciacquata, la mente ancora annebbiata da un piacere che non sapeva nemmeno di poter provare, e lo raggiunse nuda, il corpo già pronto per qualsiasi altra cosa lui avesse in mente per lei.
Sul tavolino, un arcobaleno ordinato di corde l’aspettava. I suoi occhi si illuminarono al vederle – non era più la professionista impeccabile ora, ma una creatura che riconosceva gli strumenti della propria metamorfosi. Accanto, un cappotto in cachemire color cammello e stivali da pirata con tacchi vertiginosi componevano un quadro di eleganza superficiale. Una parte di lei, quella che ancora si aggrappava alla sua identità quotidiana, voleva protestare, discutere – ma la nuova Ashley, quella nata tra le mani di Dago, impose il silenzio. Si fermò davanti a lui, in attesa.
“È una giornata troppo bella per restare chiusi in casa,” mormorò lui, prendendo una corda blu. La fece scivolare tra le dita come un musicista che accorda il suo strumento. Si mosse intorno a lei con la fluidità di un maestro di Tai Chi, la corda che danzava sopra e sotto i suoi seni, creando percorsi di costrizione elegante. Una seconda corda, rossa come il sangue, si unì alla danza, intrecciandosi con la prima in un abbraccio che trasformava la sua carne in arte.
Con pazienza metodica, avvolse ogni seno, creando spirali di colore che li contenevano e li esaltavano. Un nodo quadrato sul petto, preciso come una firma, assicurava la sua opera. Le corde si trasformarono in spalline improvvisate, un reggiseno fatto di restrizioni artistiche. Poi venne il corsetto, un intreccio multicolore che ridefiniva la sua silhouette, culminando in un finto reggicalze che parlava di promesse velate.
Un’ora di lavoro meticoloso, durante la quale Dago si era perso in un mondo dove esistevano solo le corde e la sua pelle. Le sue mani verificavano ogni nodo, ogni intreccio, cercando la perfezione in ogni dettaglio. Il suo sorriso, quando emerse da quella trance creativa, era quello di un artista soddisfatto della propria opera.
Gli stivali completarono la prima fase della trasformazione. Ashley li accarezzò prima di indossarli, notando l’assenza di altri indumenti. “Scusi,” sussurrò, il ‘voi’ che le sfuggì naturale come un respiro, “non devo indossare altro?”
Il suo sorriso si allargò mentre usciva dalla stanza, tornando con gli ultimi elementi del suo costume: il collare che prese posto sul suo collo come se fosse nato per stare lì, il plug che scivolò dentro di lei con familiare facilità, l’ovetto che il suo corpo accolse come un segreto ben custodito.
Il cappotto fu l’ultimo velo, indossato con un gesto quasi cavalleresco. La avvolse come una seconda pelle, nascondendo il suo segreto al mondo esterno. Con i tacchi, lo sovrastava di dieci centimetri – una disparità che lui aveva orchestrato deliberatamente, sapendo che avrebbe attirato sguardi, suscitato invidie, mentre solo loro due conoscevano la verità nascosta sotto quel cachemire elegante.
“Ora possiamo andare,” annunciò, indossando il proprio cappotto e facendo scivolare il guinzaglio nella tasca come una promessa per più tardi. Erano pronti per portare il loro teatro privato nel mondo esterno, dove ogni passo sarebbe stato una danza segreta tra dominazione e sottomissione.
Capitolo 5 >>