DAGO HERON

Capitolo 1 – Sussurri di una Melodia Proibita

Il Gusto della Resa - Capitolo 1 – Sussurri di una Melodia Proibita

L’agenzia viaggi era il suo regno e la sua prigione dorata. Ashley alzò lo sguardo verso la targa sulla porta – “Dreamaway Travel” – un nome che aveva scelto anni prima, quando ancora credeva che organizzare fughe per altri potesse bastare a placare la sua inquietudine. Ora, seduta alla sua scrivania di proprietaria, quella stessa inquietudine trovava sfogo in un modo che non avrebbe mai immaginato.

La chat era diventata il suo spazio segreto, ritagliato tra una prenotazione e l’altra, nascosto dietro schermate di voli e hotel di lusso. I suoi dipendenti la vedevano come la manager impeccabile, sempre controllata, sempre professionale. Suo marito la conosceva come la moglie affidabile, quella che aveva costruito un’attività di successo partendo da zero. Nessuno poteva immaginare cosa accadeva quando apriva quella finestra nascosta sul suo computer.

Dago era apparso nelle sue giornate come appaiono le tentazioni più pericolose: gradualmente, quasi impercettibilmente. All’inizio erano state solo battute sparse tra un cliente e l’altro, poi conversazioni più lunghe nei momenti tranquilli dell’ufficio, fino a quando quelle parole digitali avevano iniziato a scivolare verso territori sempre più intimi.

C’era qualcosa nel suo modo di scrivere – una calma controllata, un’intelligenza che si celava dietro l’ironia – che la faceva sentire al sicuro nell’esplorare parti di sé che teneva accuratamente sigillate, nascoste dietro la facciata della donna d’affari di successo. Con lui, le parole fluivano più libere, protette dall’anonimato digitale.

Quel venerdì pomeriggio, mentre l’ufficio si svuotava lentamente e il sole obliquo tingeva di ambra le veneziane, le sue dita avevano esitato sulla tastiera prima di digitare quella confessione che cambiò tutto:

“Mi piacerebbe scoprire cosa si prova ad essere la schiava di piacere di un uomo … mi piacerebbe incontrare un uomo che mi usa per soddisfare qualunque suo piacere, senza limiti di pudore”

Il cursore aveva lampeggiato a lungo dopo quelle parole, dandole il tempo di rendersi conto di cosa avesse chiesto. Ashley aveva trattenuto il respiro, improvvisamente consapevole di quanto quello che desideri, fortemente, diventi realtà. Un desiderio che non aveva mai osato articolare prima, nemmeno a sé stessa.

La risposta era arrivata con quella calma misurata che aveva imparato a riconoscere:

“Se vuoi posso soddisfare io questa tua curiosità”

“Riceverai una mia mail,” aveva aggiunto dopo una pausa che era sembrata durare un’eternità. “Leggila con attenzione. Poi decidi.”

Il resto della giornata si era trasformato in un esercizio di autocontrollo. Ashley si muoveva tra le scrivanie come sempre, discutendo itinerari con i dipendenti, gestendo prenotazioni, mantenendo quella facciata di efficienza che aveva costruito negli anni. Ma ogni movimento celava un fremito, ogni sorriso professionale mascherava l’anticipazione che le mordeva lo stomaco.

Si muoveva tra le scrivanie di Chiara, Elena e Marta – le sue “ragazze” come le chiamava – ma aveva un solo pensiero che la torturava: l’icona della posta! La controllava con una frequenza che sfiorava il compulsivo, mascherando quei gesti dietro normali operazioni di lavoro. Cinque minuti. Dieci. La sua casella restava ostinatamente vuota, come se Dago stesse giocando con la sua pazienza, assaporando il suo desiderio crescente.

Era stata costretta ad arrendersi quando, passata la mezzanotte, il sonno aveva avuto la meglio sulla sua ansia. Nel silenzio della camera, dove il marito dormiva profondamente, i pensieri la torturavano come amanti invisibili. Dago poteva essere uno squilibrato, un pazzo, ucciderla, torturarla… No, non poteva essere così. Qualcosa di più profondo della ragione, più viscerale dell’istinto, le sussurrava che si sbagliava. Il sonno era stato un vortice di immagini – eccitanti, angoscianti, ma soprattutto provocanti, come se il suo subconscio avesse già deciso per lei.

Al risveglio, il suo corpo vibrava ancora delle sensazioni notturne. Il marito era già uscito, lasciandola sola con i suoi desideri inconfessabili. Le sue dita avevano trovato naturalmente la strada tra le cosce, dove l’umidità tradiva i suoi sogni proibiti. Iniziare la giornata con un orgasmo era una delle cose più piacevoli della vita. Rapida si era sfilata la maglietta con cui dormiva. Le sue dita esperte avevano iniziato a stuzzicare il clitoride mentre con la lingua cercava i capezzoli per leccarseli. Il ricordo vago dei sogni la faceva sentire più carica del solito, allora era ricorsa a quello che nascondeva nel cassetto del comodino: un vibratore.

Aveva chiuso gli occhi lasciando che la sua fantasia trasformasse quel freddo pezzo di plastica nell’uomo del suo sogno concedendosi in ogni sua apertura. L’orgasmo l’aveva travolta violentemente. Il suo corpo sembrava in preda ad una crisi epilettica. Era rimasta qualche minuto a riprendere fiato, poi la radiosveglia le aveva ricordato che stava facendo tardi. Andando in bagno per farsi una doccia rigenerante era passata davanti al pc e senza nemmeno accorgersi lo aveva acceso.

La doccia aveva avuto lo sperato effetto rigenerante. Si era vestita rapidamente e stava bevendo il solito caffè quando si ricordò del computer acceso. Questa volta le sue attese non erano state disilluse. C’era la mail di Dago.

Oggetto: Le regole del gioco!
Solo leggere l’oggetto le fece venire dei brividi che non conosceva.
La base di tutto è: Decido io quando, come e quanto!
Una sera da schiava non ti permetterebbe di assaggiare fino in fondo questa esperienza.
Sarai mia per 48 ore. Arriverai venerdì sera e te ne andrai domenica sera.
Per 48 ore il tuo unico pensiero deve essere soddisfare i miei desideri, appagare il mio piacere e ubbidire alle mie richieste.
Prima che tutto questo inizi dovrai mandarmi una mail con i tuoi limiti, le cose che assolutamente non sei disposta a fare e con due parole da usare in caso di emergenza. Ti concedo tempo fino a lunedì alle ore 12 per dirmi se accetti queste condizioni o no.
Se la tua risposta sarà un sì, allora ti farò sapere come e dove.Se la tua risposta sarà un no, confido che sapremo continuare questa amicizia.
Buon week end
Dago

Le parole sullo schermo sembravano pulsare con vita propria. Quarantotto ore. Dal venerdì sera alla domenica sera. L’idea la faceva tremare di un’anticipazione che non aveva mai provato prima, mentre la sua mente già iniziava a danzare intorno alle possibilità, ai rischi, alle scuse da inventare per quel weekend di trasgressione.

Quarantotto ore da schiava dei suoi desideri. Al massimo aveva avuto avventure di sesso di qualche ora. Nelle sue fantasie si era sempre fermata ad immaginare una nottata. In fin dei conti 48 ore non doveva essere molto di più. Certo la tranquillizzava ulteriormente il fatto che lui le confermava che non ci sarebbe stato nulla fuori da cose che a lei non piacevano. Era comunque il caso di pensarci sopra un momento.

Spense il computer, trangugiò il suo caffè e uscì di casa per andare in ufficio.

Per strada naturalmente non era riuscita a pensare ad altro che a cosa potesse succederle in 48 ore. La curiosità era cresciuta oltre modo. Così mentre il suo cervello cercava di immaginare le fantasie di Dago, il suo corpo tornava ad eccitarsi. I capezzoli erano indolenziti e sentiva le mutandine terribilmente bagnate. Sentì crescere nuovamente il desiderio di darsi piacere.

Entrò in ufficio con una tensione che le sue ragazze furono in grado di riconoscere, dirigendosi immediatamente alla sua postazione. Digito rabbiosamente sui tasti i codici di accesso alla propria casella di posta e rispose alla mail di Dago.

Accetto. Il pensiero di quello che potresti farmi fare mi sta consumando.
Ash

Era stato difficile concentrarsi sul lavoro, ma i colleghi avevano pensato bene di aiutarla scaricandogli una montagna di pratiche sulla scrivania. Solo arrivata alla pausa pranzo era riuscita a controllare nuovamente la propria casella. Dago nuovamente giocava con i suoi nervi. Niente. Rabbiosamente pensò di legarlo e di torturarlo a modo suo per fargliela pagare. La sola immagine di lui nudo, legato sul letto e di lei che con la bocca giocava sul suo corpo, stuzzicando particolarmente il suo sesso la mandò nuovamente in orbita. Questa volta non fu in grado di resistere.

Cercando di fare l’indifferente corse verso il bagno e si chiuse dentro. Si sfilò rapida le mutandine e appoggiata al muro iniziò a massaggiarsi con foga il clitoride mentre si succhiava le dita immaginando di spompinarlo come piaceva a lei. Ma più la sua fantasia correva, più le sue dita sembravano non essere sufficienti. Mentre si appuntava in un angolo della memoria di tenersi in borsetta un vibratore. Allargò le gambe e concentrò tutta la sua energia sul clitoride, ricordando uno degli ultimi compiti che lui le aveva dato. Frizionando furiosamente la sua clitoride, ricordando la sua voce, pensando a lui raggiunse in poco tempo l’orgasmo. La cosa più difficile fu trattenere le urla di piacere.

Dopo una veloce rinfrescata per cercare di mascherare quanto era successo tornò alla sua scrivania. Il suo corpo ancora vibrava di un’energia sottile, quasi elettrica, mentre cercava di ricomporsi un’espressione professionale. Il suo sguardo non potè evitare di correre sul programma della posta. Il cuore le si fermò per un istante.

SI, c’era.

Ciao Ash
Ho già fatto partire delle lettere di invito per una speciale convention per un esclusivo albergo a Parigi. Chi partecipa ottiene un week end per una coppia in un albergo cinque stelle.

Questa sarà la tua scusa.
Venerdì 28 giugno sera ti dovrai fare trovare all’indirizzo che trovi in calce a questa mail.
Da casa tua ci vuole circa un’ora. Una distanza accettabile per essere in una zona tranquilla, per non essere riconosciuta, e altrettanto tranquilla per tornare a casa in un tempo decente.
Riceverai per tempo le istruzioni che ti servono.
Fino ad allora ci sentiremo solo per e-mail.
Dago

La mail di Dago aveva segnato l’inizio di una metamorfosi che sarebbe durata dieci giorni. Dieci giorni di anticipazione febbrile, di pianificazione meticolosa, di trasformazione deliberata. Ashley li aveva organizzati come una campagna militare: appuntamenti dall’estetista per una depilazione totale che aveva risparmiato solo una sottile linea di peli ad incorniciare le labbra della figa, una firma personale che amava mantenere; ore dal parrucchiere per ottenere quel colore e quel taglio che esaltavano perfettamente il suo viso; rapidi assalti in boutique di lingerie selezionate con cura, dove aveva acquistato completi che parlavano di promesse velate. Ogni sera, dopo aver chiuso l’agenzia, si dedicava a rituali di bellezza che trasformavano il suo corpo in un tempio: oli essenziali che rendevano la pelle morbida come seta, maschere che la facevano risplendere, unguenti che esaltavano ogni curva. Non era vanità – era preparazione, devozione, offerta. Mentre il calendario avanzava inesorabile verso quel venerdì 28 giugno, ogni gesto di cura diventava un passo deliberato verso la donna che aveva sempre desiderato essere.

Le giornate in ufficio erano diventate un esercizio di pazienza. Ogni pratica sembrava richiedere uno sforzo doppio di concentrazione, mentre la sua mente continuava a tornare ai dettagli della mail, all’indirizzo, i compiti che le aveva assegnato, le cose che doveva portare. In qualche modo aveva la certezza che lui avrebbe fatto di tutto per non darle certezze. Elena e le altre dovevano aver notato qualcosa – forse il modo in cui il suo sguardo si perdeva nel vuoto, o come controllava ossessivamente il telefono – ma avevano la delicatezza di non fare domande.

Il silenzio della chat pesava come un’assenza fisica. Si era abituata alle loro conversazioni quotidiane, al modo in cui lui sapeva guidare i suoi pensieri verso territori inesplorati, al ritmo delle sue parole che costruivano mondi di possibilità. Ora quel vuoto era parte del suo gioco di controllo, un modo sottile per farle sentire quanto lui potesse influenzare il suo umore, i suoi desideri, persino il suo respiro, semplicemente negandole la sua presenza. O questo almeno era il suo pensiero.

Scelse con cura i vestiti con cui si sentiva maggiormentea proprio agio e preparò una piccola borsa con qualche cambio, scegliendo con particolare attenzione la biancheria intima. Ogni capo selezionato sembrava caricarsi di un significato nuovo, di una promessa.

Il venerdì pomeriggio lo passò guardando ogni 5 minuti l’orologio, cercando di spingere con la forza del pensiero le lancette a segnare il prima possibile le 18. Il tempo sembrava aver assunto un ritmo tutto suo, dilatandosi e contraendosi secondo una logica incomprensibile, ogni minuto un’eternità di attesa e anticipazione.

Le ultime ore in ufficio avevano assunto una qualità quasi onirica. Ashley si muoveva tra le pratiche quotidiane come un’attrice consumata, firmando documenti, rispondendo a telefonate, sorridendo ai clienti dell’ultima ora. Ma ogni gesto familiare sembrava ora carico di un significato nuovo, come se stesse recitando in una commedia della sua vita normale mentre una corrente sotterranea di eccitazione e paura le scorreva nelle vene.

Elena l’aveva fermata mentre raccoglieva le sue cose. “Sei sicura di stare bene? Sembri… diversa.” Le sue parole erano intrise di quella preoccupazione che solo anni di amicizia possono giustificare. Ashley aveva sorriso, sentendo il peso della menzogna sulla lingua mentre parlava della convention, delle opportunità per l’agenzia, di tutti quei dettagli che Dago aveva costruito con sapiente maestria. La bugia era perfetta proprio perché conteneva frammenti di verità – sì, sarebbe stata via per il weekend, sì, era un’opportunità che non poteva perdere.

Il traffico del venerdì sera scorreva intorno alla sua auto come un fiume di luci rosse e bianche. Un’ora di strada, aveva detto lui. Un’ora per trasformarsi da Ashley, la titolare dell’agenzia viaggi, la moglie affidabile, in qualcosa di diverso – in Ash, come la chiamava lui. Ogni chilometro la portava più lontana dalla sua vita ordinata, dalle sue certezze, dal suo controllo.

Il navigatore recitava le direzioni con voce metallica, mentre la città si dissolveva gradualmente in periferia, poi in campagna. Le strade si facevano più strette, più buie, più intime. Ashley si ritrovò a controllare più volte il trucco nello specchietto retrovisore, un gesto automatico che tradiva la sua nervosa anticipazione. Come ci si prepara veramente a varcare una soglia come quella che la attendeva?

Il sole stava tramontando, tingendo il cielo di sfumature violette quando imboccò Via dei Mille. Il cuore le martellava nel petto mentre i numeri civici scorrevano: 39… 41… 43. La villetta emerse dall’ombra come un’apparizione – né troppo grande né troppo piccola, anonima quanto bastava per non attirare attenzione. Perfetta, come tutto ciò che lui aveva orchestrato.

Come le era stato detto, il cancello era aperto. Entrò e parcheggiò l’auto. Ashley spense il motore, ma rimase seduta nell’abitacolo. Il silenzio improvviso amplificava il battito del suo cuore, persino il respiro che sembrava più pesante, più consapevole. Con sé aveva una borsa che conteneva il necessario per una rapida trasformazione – il trucco per intensificare lo sguardo, il rossetto rosso, rosso puttana come lei lo definiva, che si intonava perfettamente con le scarpe che lui le aveva regalato.

Lo specchietto retrovisore divenne il suo confidente mentre si ritoccava il make-up con gesti misurati, studiati. Non era vanità – era un rituale, dovuto, dovuto a lui. Un passo verso Ash, verso quella versione di sé che esisteva finora solo nelle parole digitali scambiate con Dago.

Scese dall’auto con passo incerto, l’emozione iniziava a farse sentire. Quella mattina aveva indossato un lungo cappotto, un indumento fuori stagione, Partita dall’ufficio, al secondo autogrill si era fermata, era entrata nella toilette con il borsone e si era cambiata, indossato tutto quello che durante molte notti agitate aveva pensato potesse andare bene, aggiungendo due tocchi personali, le decolleté rosse e un plug anale in acciaio. Un dettaglio che solo lui avrebbe apprezzato pienamente, che parlava di sottomissione ancor prima che le parole diventassero necessarie. Vide il cancello chiudersi alle sue spalle. Un profondo respiro e poi le scarpe rosse toccarono il vialetto con un tacco deciso.

Ora restava solo da varcare quella soglia.

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